Natale in Pandemia

Che spreco! Che inutile occasione! E quando mai ci ricapiterà di dovere, a tutti i costi, ripiegarci in  noi? Ficcare quella nostra testarda, stupida testolina tra le pieghe dell’anima, lasciare che vi sosti e  sperare, persino, che lí rimanga per ricevere nuovo senso, nuova direzione. Perché questo rischiamo,  se al Natale rutilante di sempre preferiremo il Natale minore da più parti invocato, da tanti temuto.  Rischiamo, pensate, di incontrare noi stessi. Che guaio! Che ignobile iattura! Non si é mai visto un 

Natale così effimero, così clamorosamente sconveniente. Che poi, a pensarci, c’è di mezzo pure nostro  Signore, per chi ci crede naturalmente, oppure, se si vuol restare radicati nella terra, si può, con agio,  parlare di lui, dell’amore. Di cosa se non? Amore! Ci si gonfia il petto nel pronunciare questa parola.  Imperdibile, nobile tra le più nobili! Parola vittima d’abuso. Abuso senza redenzione. Quanto si può  essere sciocchi! Quanta poca fede può rivelarsi nel pensare che più importante sia garantire il dovuto  regalo al parente di turno o all’amico consacrato piuttosto che consacrarsi all’amore più autentico,  quello che rima con la parola altruismo. La rima non c’è. E allora? È rima baciata ugualmente. Perché  se amore é, all’altro si dà. Conosciuto, sconosciuto. Importa poco davvero. L’amore, se amore é,  amplifica se stesso. Getta via, senza rammarico, la miseria del singolare, per avvinghiarsi al plurale,  l’unico numero in cui può essere declinato. Amore é la più irregolare delle parole. Amore, se amore  é, contiene molteplici e raddoppi e solo la vastità può riceverlo del tutto. Amore, se amore é, non si  rattrista se in altro modo si atteggia, se altra strada percorre, difforme dal consueto. Perché,  nell’amore, ogni sentiero sa proclamarsi santo, ogni via sa di valere molto meno della meta, quel  compiersi pieno, risoluto che è come dire aiutarsi, come dire stringersi in “social catena”. Proprio  come in un allegro cenone o nel pranzo natalizio più ricco, più esuberante. Quest’anno, sai che c’è?  C’è che io questo cenone o questo dovizioso pranzo lo voglio proprio fare! Sarà molto più di un tavolo  da venti, e aggiungere un posto o anche due lo prenderò come un comandamento. Sarà il più sacro  degli assembramenti. Tutte le persone che amo e anche quelle che non amo, tutti quelli che conosco,  e anche quelli che non conosco, saranno intorno a me, commensali di uno stesso convivio. Tanto può  l’amore, se amore è. Tanto può giocare di fantasia e reinventarla questa realtà così dura, così poco  accettabile. 

Reinvenzione fruttuosa dove il frutto siamo noi. Noi che pensavamo di trascorrere questo Natale  come ogni anno, noi che oggi possiamo mutarne la geografia, scegliere di dirottarlo altrove e in questo  altrove ritrovare l’unica latitudine che davvero conti, perché qui, in questo luogo dell’anima, tra  ascisse e ordinate, si sbriciola l’amore, non per finire, ma per donarsi, briciola dopo briciola. Non il 

mio, il tuo, il suo. Che stupido dirlo. Nell’incavo di quella latitudine si annida l’amore per l’humanitas,  oggi così provata, e l’unica rettitudine che abbia davvero senso: sapere, e mai dimenticarlo, che  nessuno si salva da solo. Guardare, e sempre onorare, la fatica di chi sta lottando, la sconfitta di chi  nella lotta comunque ha creduto. Evviva il Natale dell’era Covid. Evviva noi e l’abbraccio che  sapremo darci, mentre sceglieremo di privarcene. Evviva noi senza i consueti pranzi, senza i consueti  regali, se il banchetto più succulento sapremo allestirlo dentro di noi e se il regalo più  prezioso sceglieremo di dedicarlo al bene più alto. Si scrive salute, si pronuncia salvezza. Ognuno sa  in nome di quale dio.

Novità

Di notte, solo di notte

Il nuovo appassionante romanzo di Giusi Russo