La gratitudine è uno spazio sacro. Dovremmo recarci in questo luogo ogni giorno, ogni ora, ogni
minuto. Ma non allo scadere di quel giorno, di quell’ora, di quel minuto, che è impresa facile (se ogni
cosa ci ha reso felici) o facile posa (se siamo tipi filosofici, di quelli che danno un senso ad ogni curva
della vita). PRIMA. Dovremmo entrarvi prima. Arrivarci con una quota di bene conficcata nel cuore.
PRIMA, molto prima che la vita si pieghi su di noi, per stupirci o per disarmarci. Grati sulla fiducia,
questo intendo, che è come dichiararsi discepoli della Vita. Piegarci noi verso di lei. Sensibili e aperti,
coraggiosi e fragili, per auscultarne ogni intima vibrazione e imparare, impararlo davvero, che
TUTTO sempre cospira in nostro favore. Il vento buono e quello che devasta. La mano carezzevole
e quella che ti maledice. Ecco, così voglio prepararmi al nuovo anno, in questo finire di dicembre,
terra di mezzo tra il “già” e il “non ancora”. Entrando in quello spazio sacro. E se ci entri davvero,
con la mente e con il cuore, puoi scoprire che in quello stesso luogo vivono, inseparati, perdono e
compassione. Perché la gratitudine è vita spalancata, respiro e sguardo che viola i confini, che non si
accontenta di vedere solo se stessa. È dolcezza che sa cadere sul dolore procurato e su quello ricevuto,
senza differenza. Per questo è uno spazio sacro. Perché posso condurci me, e chiunque, per amore o
per odio, per altezza morale o per infima attitudine, abbia dato senso, comunque, alla mia vita.
“Uomo sono. Niente di ciò che è umano mi è estraneo”. Così il poeta.
Un si può diri: ri sta acqua unni vivu (Non si può dire: di questa acqua non ne bevo). Così, secoli
dopo, mia madre, ingenua e scaltra. Ancora oggi imparo. Da Terenzio, da mia madre, dalla Vita. E
questa è la mia FEDE.