Pubblicato da MADEINSICILY.
“Un libro è valido quando, al consenso della critica, aggiunge quello popolare”. Così Goethe, riecheggiando il Leopardi dello
Zibaldone.
A questo illuminato pensiero si è ispirato, finn dal suo esordio, il Premio Campiello, uno dei concorsi più prestigiosi della nostra
“repubblica delle lettere”. Un premio assegnato a opere di narrativa italiana, giunto quest’anno alla 60esima edizione. Il suo
stesso nome appare, con ogni evidenza, fortemente evocativo. Il campiello, infatti, stricto sensu, è la piccola piazza veneziana,
nella quale sboccano le calli, tradizionalmente luogo d’incontro e di scambio culturale e mercantile degli abitanti della città. E
come non rammentare il Campiello di goldoniana memoria? La gustosa rappresentazione del celebre autore veneziano, che del
campiello fa “uno spazio di speranze impossibili”.
Istituito nel 1962 su iniziativa dell’imprenditoria veneta, mossa dal desiderio di creare per sé un proprio spazio culturale, il
Premio Campiello si è subito distinto per la sua formula innovativa, centrata sulla duplice giuria, tecnica e popolare: la “Giuria
dei Letterati” con il compito di selezionare la cinquina finalista e la “Giuria dei Trecento lettori”, alla quale spetta il privilegio di
scegliere il vincitore assoluto. Un plateau allargato di giurati, dunque, plurale e inclusivo. La possibilità per ogni romanzo iscritto
al concorso di essere osservato da più angolazioni. Da una parte lo sguardo della competenza, della abilità di mestiere, dall’altra,
non meno rilevante, il giudizio di lettori consapevoli, capaci di cogliere di ciascun’opera limiti e virtù.
Mai forse come in quest’ultima edizione, la valenza goldoniana di “campiello” ha trovato il suo più inaspettato capovolgimento.
A conquistare il podio è stato Bernardo Zannoni, ventiseienne, ligure, tra i più giovani ?nalisti di sempre, per il quale il Premio si
è rivelato “uno spazio di speranze possibili”. Il suo romanzo d’esordio I miei stupidi intenti, edito da Sellerio, ha vinto, staccando,
di ben 47 punti, La foglia di Fico di Antonio Pascale, secondo classificato. Pregevole nella forma, l’opera di Zannoni incanta per la
sua densità semantica, abilmente celata, ma facile da smascherare, se solo ci si accosta alle vicende narrate con la chiave
interpretativa che esige ogni testo allegorico. I miei stupidi intenti è la biografia, scritta in prima persona, di Archy, una faina
umanizzata. Intorno al protagonista un brulicare di animali antropomorfizzati. Stilema narrativo che situa l’opera del giovane
scrittore nell’alveo di una consolidata tradizione letteraria (dalla favolistica di classica ascendenza al più moderno Orwell della
Fattoria degli animali, solo per citare alcuni esempi). Un romanzo di formazione quello che ci propone Zannoni. L’impervio
percorso che ogni umano deve a_rontare per comprendere appieno la propria identità. La fatica del camminare, la condanna del
dovere scegliere tra ragione e istinto. Un memoir, altresì, di timbro filosofico, che ha l’ambizione di affrontare i grandi, eterni
interrogativi dell’uomo sulla vita, sulla morte, sull’esistenza di Dio. Il tentativo, riuscito, di trasfondere nella pagina il difficile connubio tra levitas e gravitas. Il Premio Campiello da molti anni, ormai, dedica uno spazio particolare ai giovani tra i 15 e i 22 anni. A vincere la 27esima edizione del Campiello Giovani è stato il palermitano Alberto Bartolo Varsalona con il racconto La spartenza, che bene tratteggia una comunità di pescatori siciliani, avvalendosi di una scrittura che, come recita la motivazione della giuria, “gioca tra italiano, dialetto e linguaggio aulico”. Un talento, quello del Varsalona, delineatosi già tra i banchi del liceo Croce di Palermo, la scuola in cui, nel 2019, ha conseguito la maturità scienti?ca. Il Premio Campiello non cessa di stupire: per la prima volta, quest’anno, è stato istituito il “Campiello dei Campielli”, un premio speciale a un’opera, tra quelle premiate nel corso degli anni, di rilevante forza simbolica. Vincitore dei vincitori è il romanzo la Tregua di Primo Levi, che si era aggiudicato la prima edizione del 1963. Una scelta altamente significativa, come ha sottolineato il presidente della Giuria dei letterati, Walter Veltroni. Un’opera che ha meritato l’autorevole riconoscimento per il suo incontrovertibile valore di “testimonianza civile”. Lungo e prezioso è l’elenco dei tanti nomi che, negli anni, hanno dato lustro al Campiello o che da esso hanno attinto nuova luce, nuova risonanza. Basti ricordare Margaret Mazzantini, con il suo splendido romanzo Venuto al mondo, Premio Campiello 2010 o Antonio Tabucchi con il suo appassionato Sostiene Periera, premiato nell’edizione del 1994. E come non menzionare il siciliano Gesualdo Bufalino? Scrittore di ranata cultura, indimenticabile nella sua opera vincitrice del Campiello 1981, il romanzo
Diceria dell’untore.
“Gli scrittori si dividono in due categorie: persone produttive e vincitori di premi letterari”, ha affermato Helmut Qualtiger, con
una punta di sarcasmo. Di`cile dire quanto plausibile sia tale affermazione. Certo è che dare spazio ai giovani talenti è una
scelta meritoria. E’ segno e specchio di una società che non ha abdicato alla sfiducia.
Il nostro auspicio, per i giovanissimi vincitori di questa 60esima edizione del Campiello, è di riuscire a dare, nel tempo, ulteriore
conferma del proprio valore, ancora producendo, ancora vincendo.